In un periodo così complesso a livello sociale per tutto il pianeta l’informazione corre come un fiume in piena su tutti i media di massa lasciando poco o nulla nel lettore. Il bombardamento mediatico depersonalizza ogni fatto sia esso legato alla pandemia o al complicato momento politico ad ogni latitudine o ancora si tratti di fatto di cronaca. Per tanti lettori tutto ciò si traduce solo in una pagina illuminata su uno schermo, indifferenza che spolpa della dovuta umanità ogni fatto.
Lo scorso 21 gennaio a Obuasi, in Ghana, un ragazzo di soli 19 anni è stato barbaramente ucciso: pestato a morte da altri tre giovani per aver tentato di difendere un coetaneo, compagno di università. Fatale per il giovane il colpo di grazia dei carnefici affidato ad un bastone.
Il caso ricorda orribilmente quello di Willy Monteiro Duarte, ucciso con le stesse modalità a Colleferro lo scorso settembre, reo di aver difeso un compagno in difficoltà, pestato a morte senza pietà alcuna.
Daniel Kojo è il nome di questo ragazzo, figlio di Ransford: fraterno amico ghanese, da anni cittadino palermitano e vicino al Centro Diaconale “La Noce” e alla onlus Pellegrino della terra. Ransford che con tanta forza sostiene a distanza la moglie e i suoi figli e figlie Stephen, Bridget e Abena. Tutti, come Daniel, in percorsi di studi grazie ai sacrifici del papà.
Nel ricordo in memoria di Daniel, avvenuto domenica scorsa (31 gennaio) presso la Chiesa Valdese di Palermo in via dello Spezio, ci sentiamo di ripetere qui e scolpire sulle mura del nostro operato quotidiano le parole riprese dai discorsi di Marthin Luther King.
“Ciò che mi spaventa non è la violenza dei cattivi, è l’indifferenza dei buoni”. E ancora, “Può darsi che non siate responsabili per la situazione in cui vi trovate, ma lo diventerete se non fate nulla per cambiarla”.
Due frasi semplici, potenti, per Daniel che non è morto da indifferente, per tutti noi chiamati a ricordare: testimoni e responsabili di quello che accade oggi, di quello che sarà domani.