Il Premio “Rosa Balistreri e Alberto Favara” è organizzato da Conca d’Oro e patrocinato dalla Presidenza dell’Ars, dalla Fondazione Ignazio Buttitta, da Raizes Teatro, dal Museo internazionale delle Marionette Pasqualino, dall’Alloro Fest, dal Borgo dei Giusti e dal Comune di Palermo. La serata dedicata alla cerimonia di premiazione si concluderà con una esibizione di Cocò Gulotta e Al Di Rosa. Direzione artistica, Giovanni Apprendi.
Negli anni, il premio “Rosa Balistreri e Alberto Favara” è stato assegnato ad eminenti personalità: per citarne solo alcuni, sono stati insigniti del Premio lo storico Cesare Bermani, il giornalista e scrittore Melo Freni, il poeta Ignazio Buttitta, il cantante e attore teatrale Beppe Barra, l’allora Sovrintendente del Teatro Massimo di Palermo Francesco Giambrone, la musicista Giovanna Marini, l’etnomusicologo Sergio Bonanzinga, l’attore Gianfranco Jannuzzo, la scrittrice e cantautrice Marilena Monti.
Rosa Balistreri, nata a Campobello di Licata nel 1927, ha dato, con la sua voce calda e profonda, spessore ai temi più vivi dell’insoddisfazione e delle lotte dei nostri lavoratori delle miniere o dei contadini siciliani, al grido delle donne assoggettate ancora ad una cultura profondamente maschilista, alla rabbia, al dolore, alla rassegnazione degli ultimi.
Alberto Favara, nato a Salemi nel 1863, allievo prima del Conservatorio di musica di Palermo e discepolo poi di Antonio Scontrino, fu l’autore del Corpus – due fondamentali volumi che si trovano al Museo Etnografico Siciliano intitolato a Giuseppe Pitrè – che ha tramandato ai nostri giorni melodie, ritmi di danze e di lavoro, musiche strumentali, grida di venditori del folklore siciliano. Dal suo Corpus hanno attinto tutti gli studiosi di etnomusicologia e i cantanti folk siciliani. “Lo scopo del nostro Premio, che gli è dedicato insieme a Rosa Balistreri, che lo studiò e approfondì, è anche quello di evidenziare come un compositore di formazione occidentale della fine del XIX secolo abbia reagito alle canzoni popolari siciliane. Il suo era contemporaneamente uno studio e un processo creativo. Un tuffo nelle radici per creare un futuro di consapevolezza”, conclude Pino Apprendi.