Quando lo spazio abitativo rende il tempo della pena utile al cambiamento: a cinque anni dall’inizio dell’esperienza la sigla del nuovo protocollo d’intesa tra Centro Diaconale “La Noce” – Istituto Valdese e Ufficio di Esecuzione Penale Esterna (Uepe) di Palermo
Raccogliere la sfida della creazione di un modello di rieducazione che andasse oltre quello fondato sulla carcerazione, per dar vita a un percorso di accompagnamento e sostegno nella ricostruzione di una nuova identità a partire dalla presa di coscienza e dall’elaborazione dell’impatto sulla comunità di condotte devianti. Sono stati questi i presupposti che nel 2015 hanno portato alla nascita di Casa Vale la Pena, la comunità residenziale di accoglienza maschile per persone che provengono dall’area penale e che beneficiano di misure alternative.
Un percorso pionieristico del Centro Diaconale La Noce che, dopo i primi cinque anni di attività, poche settimane fa ha rinnovato il patto d’intesa con Ufficio di Esecuzione Penale Esterna (Uepe) di Palermo con il quale la struttura è stata progettata. Nata come un modello sperimentale, tra i primi di questo tipo in Italia, oggi Casa Vale la pena è una realtà avviata e consolidata e, tra i diversi obiettivi, si propone quello di contribuire al contenimento dei carichi del sistema penitenziario.
La sigla del nuovo protocollo d’intesa ci offre l’occasione per ripercorrere le tappe di un cammino che negli ultimi cinque anni ha permesso all’Istituto Valdese, in sinergia con le Istituzioni del Ministero di Giustizia presenti a Palermo, di sviluppare interventi innovativi per il recupero sociale di persone autrici di reati e di portare avanti azioni di sensibilizzazione e mediazione volte a un cambiamento di paradigma, dove la persona reclusa non sia più esclusa dalla comunità, ma le venga restituito il senso della propria dignità e unicità. Un approccio basato sulla cura dei legami, molto diverso da quello tradizionale che si preoccupa solo di punire i reati con il carcere e la vergogna, il cui modello di intervento si inserisce nella cornice teorica della giustizia riparativa: dove il reato, oltre a ledere un diritto giuridico, lede anche la relazione con gli altri.
In questi anni le esperienze maturate a Casa Vale la Pena, attraverso l’attivazione di percorsi abitativi e di responsabilità, ci hanno confermato come le misure alternative, specie se strutturate attraverso forme di inclusione sociale attiva, siano uno strumento efficace per favorire iniziative di reinserimento e riparazione del danno. Sono in totale 40 le persone transitate e accolte da quando il progetto Casa Vale la Pena ha avuto inizio, tutti ad oggi percorsi positivi che ci hanno confermato come l’insieme di pratiche sperimentate sia stato vincente. Anche la letteratura lo ha ampiamente dimostrato e la lettura dei dati dell’ultimo rapporto di Antigone sulle condizioni di detenzione fa emergere chiaramente come le misure alternative funzionino molto meglio della detenzione. Infatti, solo un detenuto su 200 torna in carcere per aver commesso un reato durante questa tipologia di misura. Al contrario la carcerazione ha mostrato tutti i suoi limiti, assolvendo difficilmente al compito sancito dall’articolo 27 della Costituzione, ovvero al reinserimento del detenuto nella società.
Mettere al centro non solo l’autore del reato, considerato portatore di interessi e di dignità, ma anche la vittima e tutta la società generatrice di conflitti, significa rendere la collettività partecipe del processo di reinserimento di chi ha commesso un illecito. È un processo complesso e delicato, dove la persona, con le proprie esperienze, a volte fallimentari, il proprio vissuto e anche le proprie colpe, viene presa per mano, accompagnata e messa di fronte alle proprie scelte e alle proprie responsabilità attraverso il faticoso percorso di riflessione che la impegni a ripristinare il patto tradito con la collettività. In questo modo il tempo della pena può davvero essere utile a maturare un cambiamento.
In tal senso la collaborazione tra l’Istituto Valdese e il Ministero della Giustizia è stata importante, perché ci ha permesso di intercettare borse-lavoro e tirocini formativi finalizzati al reinserimento socio-lavorativo degli ospiti di Casa Vale la Pena, esperienze che, assieme alle diverse attività di volontariato in affiancamento degli operatori e delle operatrici per i servizi del Centro Diaconale, hanno funzionato da apripista rispetto alla possibilità per la persona condannata di raggiungere un’autonomia economica, fondamentale nel riconoscimento e nella percezione di un’identità non più deviante, ma di persona recuperata attraverso il lavoro e lo sforzo che consentono di fare quella svolta necessaria e auspicata.
Il tema delle persone ristrette in questi mesi ha avuto una nuova attenzione da parte dei media durante la pandemia da Covid-19, che ha portato grande paura e preoccupazione negli istituti di pena dove il distanziamento fisico non è una possibilità. Eppure, il tema della detenzione merita una riflessione al di là dall’emergenza sanitaria che stiamo vivendo. Quello che speriamo è che esperienze come la nostra vengano sempre più replicate, ma auspichiamo anche un maggiore interesse verso il tema della giustizia riparativa da parte delle istituzioni: sono necessari investimenti coraggiosi e adeguati che, attraverso un lavoro preliminare e strutturato, possano avere delle reali ricadute in termini di sicurezza sociale e salute pubblica, migliorando i servizi per quanti abbiano la possibilità di godere di misure alternative alla detenzione e siano bisognosi di un accompagnamento davvero autentico e individualizzato, che non sia utilizzato solo in una logica di riduzione delle presenze in carcere. Occorre andare oltre: supportando la persona detenuta nella costruzione di una rete informale di relazioni, nella ricerca di un reddito e nelle situazioni di grave marginalizzazione; cominciando dal chiederci quale contributo possiamo dare come singoli e come collettività.